L'Arte di Rompere le Cose di Proposito

L’Arte di Rompere le Cose di Proposito

L’Arte di Rompere le Cose di Proposito

C’è qualcosa di irresistibilmente comico nel modo in cui noi esseri umani usiamo la tecnologia.
Le persone normali accendono il computer, controllano la posta, guardano un video, ordinano una pizza.

Noi invece apriamo il terminale come chi apre un vecchio libro di magia proibita e pensiamo:

“Vediamo un po’ cosa posso distruggere oggi… così, per crescere interiormente.”

Alcuni fanno yoga.
Altri fanno meditazione.
Io faccio aggiornamenti del sistema.
E francamente, mi sembra un percorso spirituale molto più intenso.

La tecnologia non urla, non perde la pazienza, non giudica.
Semplicemente smette di funzionare nel momento meno opportuno,
con quella gentilezza tipicamente italiana del tipo:
“Scusa, eh… ma adesso arrangiati tu.”

Ogni malfunzionamento segue sempre lo stesso copione:

  1. Primo atto: “Ma dai…”
  2. Secondo atto: “Non è possibile…”
  3. Terzo atto: riavvio drammatico, sperando in un miracolo digitale.

Sistemare problemi informatici è un’arte sottile:
ti ritrovi a risolvere qualcosa che non sapevi nemmeno esistesse,
inizi a leggere log incomprensibili,
e dopo dieci minuti dubiti di tutte le tue scelte di vita.

E poi, quando finalmente tutto riparte —
anche se non hai la minima idea del perché —
ti senti un genio.
Un genio molto stanco, ma pur sempre un genio.

Un giorno, forse, i computer funzioneranno sempre.
Niente bug, niente errori, niente sorprese.
Un mondo perfetto.

Che noia sarebbe.

Perché la verità è che noi non viviamo per avere sistemi stabili:
viviamo per la soddisfazione di risolvere ciò che non andava,
per quel piccolo brivido quando qualcosa finalmente funziona,
per la bellezza di un caos che, in fondo, è anche un po’ casa nostra.

Continuare a rompere, sistemare, riorganizzare, reinstallare, ricominciare da capo
non è una necessità:
è una vocazione.

E sinceramente?

Io non la cambierei per niente al mondo.


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